mercoledì 28 marzo 2012

TROPICO BANANA





TROPICO BANANA

Italianos da Cuba al Brasile







Una premessa
(sono passati vent’anni)
  
Pubblicato per la prima volta nel 2001 (seguendo il piccolo successo dell’Isterico a metano), questo libro - letto oggi - va preso con le dovute pinze da caminetto: con spirito da cacciatore di tesori nei mercatini di materiale vintage. Su questo affollato pianeta nell’ultimo ventennio di cosine ne sono successe mica poche, e così è stato per Cuba e per il Brasile. Castro e Amado non ci sono più, sono arrivati Lula e, ahimè, Bolsonaro. Nella quotidianità dei due paesi sono cambiate un’infinità di piccole cose, altre sono rimaste identiche. Se conoscete Cuba e Brasile noterete un certo spirito da modernariato aleggiare qua e là fra le pagine a seguire; se non li conoscete potrete assaporare svariati vizi e virtù di quelle latitudini anche senza investire in biglietti d’aereo (non sono bei tempi per trasportarsi di qua e di là). Molto, rispetto al testo del 2001, è stato cassato perché non aveva più ragione di esistere. L’accetta, in particolare, ha lavorato contro quelle parti obsolete, noiose, quasi filosofiche o da reportage che non amo più. In cambio della muffa, ho aggiunto qualche testo giudicato troppo hardcore (non da me) durante il primo editing e che poi ha trovato seconda vita su altri libri (L’importante è muoversi, Hai fatto il mondo?, Viva Brasil!).


Inoltre, un po’ di dietro-le-quinte: Tropico Banana edito da Feltrinelli vendette abbastanza bene. Non senza orgoglio, lo trovai citato più volte come libro consigliato nella top ten (mi scuso per la bestemmia in lingua aliena) dei testi migliori su questi due paesi, a braccetto con opere di Autori ben più quotati e blasonati. Una breve parte del testo fu adattata per il teatro, altre furono riprese da Importanti Riviste di Giornalismo dedicate all’America Latina. Grazie al libro conobbi una serie di scrittori, attori, giornalisti, nuovi amici e pure un paio di amanti (come saggiamente mi consigliò il mio amico-filosofo urbano Andrea: «Vai alle presentazioni del libro, non fare lo stupidino timido. Servono. E poi, male che vada, anche se il libro non vende, trombi»). A un festival della letteratura a Cuneo una maestrina delle scuole elementari, in visita con i bambini, mi chiese di che cosa parlasse il mio libro, platea il suo battaglione di esserini in miniatura. «Ehm…», dissi (cercando vie di fuga), «Si tratta di un libro di… viaggio. Al caldo, dove ci sono le palme». Sempre grazie al libro, sbafai gratis a innumerevoli tavoli di ristorante, fra una presentazione e l’altra.
  In casa Feltrinelli Tropico Banana lo aveva voluto la somma editor, Valeria Raimondi, donna di buon gusto e di buone letture, boss-a della gloriosa collana Traveller. La lettura approfondita del manoscritto, però, era sfuggita a Carlo Feltrinelli: con tutto quello che pubblicava, il Capo Supremo mica poteva leggere tutto. Una volta pubblicato, il dado era stato tratto, gli alberi abbattuti e l’inchiostro versato, ma la coscienza politica ne risentì. Il padre-padrone dell’Azienda, dopo averlo finalmente letto, si stizzì per aver inconsapevolmente tradito l’amico Fidel, e così le scelte editoriali a seguire riguardanti la mia personcina presero un’altra piega (il mio libro successivo, Vita da Toubab, dedicato al Senegal e scritto apposta per Feltrinelli, non fu pubblicato).

Buona lettura!

Pietro Scòzzari
Okinawa, agosto 2021

  
 
  
Introduzione
  
Tropico Banana è una canzone demenziale dei Chiclete com Banana, band che fa musica carnevalesca (ma non solo) niente male, di Salvador de Bahia, Brasile. È anche uno dei leitmotiv di Angeli, forse il miglior vignettista brasiliano: paulista di origine italiana, ha disegnato storie memorabili tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta su Chiclete com Banana (a fantasia di nomi i ragazzi sono solo apparentemente limitati), rivista di fumetti underground fino a qualche anno fa straletta e amata dalla suburra più coatta, illuminata e metropolitana del Brasile, oltre che da me. Un po’ il Frigidaire brasiliano, evaporato nel panorama editoriale come quest’ultimo, Chiclete com Banana ha dato voce alle menti più folli della scrittura e del disegno, non solo satirici, di quel Paese Dorato.
  Nelle vicende dei tanti personaggi di Angeli, oggi in parte trasmigrati su Internet o su alcuni quotidiani - Os Skrotinhos, gemelli sporcaccioni che aprono bocca solo per dire maialate; Bob Cuspe, tardo-punk che sputa sonori scaracchi in faccia a ciò che odia (tutto e tutti); Rê Bordosa, sbevazzona bukowskiana; Walter Ego, narciso intellettualoide che passa la vita a dialogare con lo specchio in bagno; Bibelô, classico macho cafone, tutto fischi alle bunde di passaggio, stuzzicadenti fra gli incisivi e grattate alle parti basse; Rhalah Rikota, guru finto-indiano che pensa solo all’intimo donna delle discepole e alla pienezza del suo stomaco -, uno dei motivi ricorrenti è spesso quello di appartenere tutti, sebbene attori di un presepio metropolitano, a un immaginario Tropico Banana: un grande paese immaginario vittima dello sfruttamento, prima di tutto economico, poi anche sessual-vacanziero, dei potenti del mondo (multinazionali straniere e ricchi fazendeiros locali in prima linea). Un po’ una Repubblica delle Banane, la stessa di cui Woody Allen si elegge presidente rivoluzionario e che fluttua come spauracchio fra le menti latinoamericane più attente di ciò che non vorrebbero fosse il loro paese.
  Gli italiani, di certo, hanno una forte responsabilità nel contribuire all’effettiva esistenza di questa repubblica immaginaria: sia in America Latina, dove le affinità culturali e linguistiche sono maggiori, sia nel resto del “terzo mondo”, dove l’arroganza da membro del G8 e il business invadente dei tour operator la dicono lunga sul processo di omologazione globale, a Nostra Santa Immagine & Somiglianza.
  Da qui il sottotitolo, Italianos da Cuba al Brasile. I due paesi non sono stati scelti perché più “bananiferi” di altri (fate un salto nel Salvador o nel Paraguay, o magari anche solo a San Marino, e di banane ne vedrete a pacchi), ma per altri due motivi, molto precisi. Innanzitutto perché frequentati da orde di nostri compatrioti/e (oranghi/e), in gran parte filosofi dell’avventura erogena, possibilmente abbronzata e a prezzo da 3x2. E poi, soprattutto, perché hanno molte caratteristiche in comune: la religione (santería a Cuba e candomblé in Brasile, figlie degli stessi schiavi e degli stessi re africani trasformati in dèi/santi), l’amore per la musica che fa muovere le anche e gli ormoni, la gioia di vivere nonostante le mille magagne di economie surreali, una forte sensualità spruzzata nell’etere senza preoccuparsi dei danni al buco dell’ozono e quasi istituzionalizzata, certa architettura popolare (casette con facciate che sono la traduzione della fantasia matta di entrambi i popoli: ingressi triangolari, tinte che vanno dal viola fosforescente all’oro, cornicioni con greche, ecc.) e, più in generale, una fratellanza spirituale, intangibile ma fortemente percettibile nell’aria: all’Avana come a Rio de Janeiro, a Santiago come a Salvador de Bahia.
  Lo scopo di questo libro, dunque, oltre a quello principale di farmi lievitare il conto bancario e allargare il numero delle ammiratrici, vorrebbe essere quello di descrivere/trasmettere, attraverso brevi aneddoti di esperienze (tutte, lo giuro, verissime), due realtà per molti aspetti simili, ma anche molto distanti, unite - non sempre - da quell’anello di congiunzione che è il turista/viaggiatore/curiosone/abatantuono italiano (ma non solo: può anche essere spagnolo o nordamericano, l’approccio con il ‘Sud’ del mondo, quasi sempre, è il medesimo). Sicuramente molto più per criticare le nostre, di magagne, poi, eventualmente, le loro. Il lettore attento, al di là della superficiale e apparente pennellata di sarcasmo antiterzomondista (facciamoci due risate sulle miserie del Sud, poi, magari, riflettiamoci sul serio, passando prima attraverso le nostre: meglio che piangere immediatamente lacrime buoniste, per poi rifilare diete liofilizzate o costumi da bagno ai terremotati o ai profughi dei Balcani, lasciandoli a marcire nei container), saprà scorgere che la verità vera, quella su cui riflettere, non sia perché al tropico crescano le banane - i conquistadores ce l’hanno insegnato a machetate mezzo millennio fa -, ma perché un occidentale, sempre più solo potenzialmente ricco anche di cultura e di storia, debba sorbirsi ore di volo per coltivare i bananeti della propria sfiga.



Avviso ai consumatori
  
Questo libro, in parte, può essere meglio apprezzato (o detestato) da chi già conosce i paesi in questione. Solo chi già c’è stato potrà riconoscere, più rapidamente di altri, punti di riferimento e atmosfere, a volte, celati fra le righe. Per chi non ha mai visitato il Tropico Banana, invece, questa lettura offrirà una prima infarinatura - ce l’ho messa tutta - ben lontana dai cliché patinati dei dépliant turistici.
  I fatti narrati vanno storicizzati, congelati nel periodo cui si riferiscono: il 1999 (anno di grandi cambiamenti) per la parte cubana, l’ultimo decennio del Novecento per quella brasiliana. Tentare di estendere e adattare le situazioni descritte a un periodo successivo sarebbe una forzatura falsante: molto, da allora, è cambiato.
  Ai lettori la parte ‘brasiliana’ potrà apparire meno compatta di quella ‘cubana’. Ciò è dovuto al fatto che è stata scritta a più riprese e ambientata a diverse latitudini (il Brasile è un luogo dell’anima), in cinque anni. Il taglio che ne risulta è volutamente frammentario: brevi flash che, spero, riescano a comunicare emozioni e a dare un’idea - anche senza seguire un principio di omogeneità tematica e anche a chi non c’è mai stato - del “País do Futuro”.

  
Ringraziamenti

  A Zio (Filippo), per parte della parte do Brasil; ad Àgnel, compagno di merende cubane; a Valeria, maestrina di Vigevano cui devo i primi (secondi) rudimenti dell’ABC. Last but not least: al compagno di merende giapponesi Gino Goya Sensei, in arte Knauss, senza il quale i miei libri mai avrebbero potuto trovare la luce tra le folte liane della foresta Amazon-ica.





 INDICE


Una premessa

Introduzione

PARTE PRIMA - J&J: Jineteros, Jineteras (e molti Tarzan)

Insegnare la salsa stanca
Vamos a la disco
Ruote proibite
Bulla
Las Tunas
Particulár
¿Hablas español?
Il meglio e il peggio
Varadero
Ghetti
Storie di polli
¿Soy cubano?
Siboney
Watanga


PARTE SECONDA - Delirium brasiliensis

Dèi
Paulinho
La pazza d’oltremare
Capoeira
Lunga vita al Capitano Thomás!
Isole tropicali
Gigliola
Bulàgna-Milano
Franco, il rastamerdo
Al ladro!
Sou brasileiro?
Babbo Natale
Giovanni, ahrf, ahrf
Egisto
  
Glossario/gergario


 

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